3° seminario Liberalismo e concorrenza istituzionale prof. Paolo Pamini - Politecnico Federale di Zurigo (Svizzera) 13 febbraio 2015 - UMG Catanzaro, facoltà di Giurisprudenza
La tradizione filosofica liberale, per quanto affondi le proprie radici già in Aristotele o in altri pensatori pre-moderni, nasce e si
sviluppa fondamentalmente durante l’Età moderna in contrapposizione all’emergenza dello Stato moderno. Storicamente, essa ha
proposto di porre un limite al Leviatano per mezzo di costituzioni (si pensi alla tradizione connessa alla Rivoluzione americana, discendente
da Locke) o della divisione dei poteri (con riferimento, per esempio, a Montesquieu e all’architettura istituzionale che caratterizza
ancor oggi la maggior parte degli Stati nel mondo). Alla prova dei fatti, nessuno dei due suddetti limiti è stato davvero capace
di tenere sotto controllo la bulimia finanziaria del Leviatano e la sua continua espansione di competenze.
Quale proposta politica coerentemente liberale va pertanto oggi avanzata? Nel seminario si sosterrà che la concorrenza tra giurisdizioni
rimane un via realistica da percorrere verso un maggior controllo dello Stato. In poche parole, essa introduce nello Stato, che è un monopolio per definizione e natura, gli elementi della scelta e della concorrenza, propri dell’ordine naturale e delle dinamiche
di mercato. Dapprima, si argomenterà perché il mito hobbesiano secondo il quale homo homini lupus est non regge né la prova
teorica né la prova empirica, relativizzando pertanto l’assoluta necessità di un’organizzazione della società in un ordine statuale. Una
volta compreso che lo Stato è un prodotto ideologico, ossia che esso esiste fintanto che i suoi sudditi siano convinti della sua necessità,
e che pertanto le dimensioni possono liberamente variare, si approfondiranno gli aspetti della concorrenza istituzionale quale via realistica
tesa alla limitazione della portata del Leviatano. Verranno analizzati in dettaglio i differenti incentivi ai quali sono sottoposti i politici di piccoli Stati (siano questi repubbliche o monarchie) rispetto ai politici di grandi realtà istituzionali, e si approfondiranno determinati
aspetti propri della teoria economica del federalismo.
Una volta introdotti i fondamenti teorici a sostegno della concorrenza istituzionale e del federalismo fiscale, si analizzeranno
alcune dinamiche empiriche, in particolare appoggiandosi sull’esperienza federalistica svizzera. Dopo aver presentato l’attuale assetto
istituzionale della Confederazione, dei Cantoni e dei Comuni, verranno brevemente accennate le radici storiche e le particolarità socioculturali che stanno alla base dell’attuale complesso e poliedrico sistema politico-istituzionale elvetico. Compreso il funzionamento ed
i retroscena del federalismo elvetico, si potrà comprendere il federalismo fiscale e la concorrenza fiscale che si gioca tra i 26 Cantoni
ed i quasi 3.000 Comuni della piccola Svizzera di 8 milioni di abitanti. Si discuteranno i dati circa la pressione fiscale sulle persone
fisiche per vari scaglioni reddituali e l’evoluzione sull’arco di 12 anni che può essere comodamente analizzata con avanzate tecniche
statistiche. Da ultimo, ci si chiederà se la concorrenza fiscale corra il rischio di essere sfruttata e di condurre ad una race to the bottom
nella quale le persone con alto reddito si spostino verso le giurisdizioni con la minor pressione fiscale. Saranno discussi i risultati di
una ricerca empirica che ha analizzato la scelta di domicilio di tutti i top manager delle aziende quotate sulla borsa svizzera. La conclusione
è che la residenza (e pertanto il carico fiscale soggettivo) è un indice delle preferenze prosociali di ogni singolo individuo e
che correla largamente con la corporate governance aziendale. Alla prova dei fatti, non è pertanto vero che l’introduzione della concorrenza
fiscale tra diverse giurisdizioni debba condurre ad livellamento verso il basso delle prestazioni statali, mentre è vero sì che
essa eserciti una marcata pressione all’aumento dell’efficienza del settore pubblico e all’erogazione di servizi in linea con le preferenze
locali dei contribuenti.
Il prof. Paolo Pamini economista, è docente in Law & Economics presso il Politecnico Federale di Zurigo. A Zurigo, dal 2000, ha tenuto corsi di macroeconomia, matematica e finanza. Si è occupato di temi legati a modelli di gestione partecipativa d'azienda su base consensuale (sociocrazia), agli attentati politici in America Latina e parimenti alle distorsioni politico-economiche del patrimonio dell'umanità dell'UNESCO. Professionalmente è attivo a Lugano presso i servizi legali e fiscali di PricewaterhouseCoopers, e nella consulenza fiscale nazionale per imprese. Ricercatore associato del Liberales Institut (Zurigo), scrive regolarmente op-ed per il Corriere del Ticino e il Giornale del Popolo. Ha curato la parte antologica de "I sette peccati del capitale" di Tito Tettamanti (Sperling & Kupfer 2002, Bilanz Verlag 2003), e ha scritto con Thorsten Hens il manuale “Grundzüge der analytischen Mikroökonomie” (Springer 2008). Con Christian Pala ha scritto il capitolo sui mercati finanziari dell’ “Indice delle liberalizzazioni" dell’Istituto Bruno Leoni.