10° seminario - Tavola rotonda L'Italia al bivio, tra riforme necessarie e resistenze corporative prof. Tullio Barni - Università degli Studi "Magna Graecia" di Catanzaro prof. Gianfranco Macrì- Università degli Studi di Salerno prof. Andrea Porciello - Università degli Studi "Magna Graecia" di Catanzaro prof. Rocco Reina - Università degli Studi "Magna Graecia" di Catanzaro modera e introduce l'avv. Sandro Scoppa - Fondazione Vincenzo Scoppa 1° aprile 2015 - Camera di Commercio di Catanzaro
L’Italia si trova al bivio di fronte alla globalizzazione. E se da un lato la sua classe politica annuncia, o sembra annunciare, cambiamenti epocali, con profonde riforme strutturali in molti settori dell’apparato pubblico e della società; dall’altro si trova a dover fare i conti con le sempre vive resistenze opposte dalle varie corporazioni, pronte a sbarrare la strada ad ogni progetto o proposta che possa in qualche modo ledere i loro interessi o gli interessi. In proposito tornano alla mente molti degli studi della Public Choise School, che mostrano come i comportamenti “interessati” di politici, imprenditori, sindacalisti e burocrati finiscono per convergere in una somma di piccole e meno piccole “cospirazioni”, le quali favoriscono una dilatazione del potere pubblico. Ad esempio, i magistrati si oppongo a riforme ormai necessarie della giustizia, gli agricoltori difendono i sussidi, gli insegnanti il posto fisso, i farmacisti e i tassisti il sistema delle licenze, ecc. Il risultato è che l’insieme di questi egoismi corporativi finisce per danneggiare tutti. In fondo, tutto questo era ben chiaro già a Vilfredo Pareto, che mostrò – anche sulla scorta degli insegnamenti di Frédéric Bastiat – che in ogni iniziativa pubblica i benefici tendono a essere immediati (mentre i costi sono posticipati), visibili (mentre i costi sono invisibili) e concentrati (mentre i costi sono dispersi). In tal modo è facile prevedere che ogni spinta verso lo statalismo avrà facile vita di fronte a quanti, invece, vogliono contenere l’espansione del potere.
Questo è vero, ma non deve toglierci la speranza. Un simile processo, in effetti, non può procedere in maniera illimitata, dal momento che il risultato finale è la catastrofe. Un ordine sociale basato sulla pianificazione, sulla redistribuzione, sull’ingegneria sociale e sulla redistribuzione egualitaria non è destinato a durare. Il suo esito naturale è l’estinzione: come è successo all’impero romano nella sua fase finale e come sta succedendo all’Europa contemporanea. In altre parole, una società può essere facilmente condotta verso una crescente statizzazione da una serie di convergenze di interessi, ma alla fine è costretta a pagarne il prezzo. Anche il più resistente dei muri di Berlino alla fine crolla. Questo succede per un motivo assai semplice. Una società basata sulla proprietà privata, sulla tolleranza, sul rispetto della libertà contrattuale e sul diritto di associazione è semplicemente in sintonia con la natura umana. E ogni sistema sociale che invece si oppone alle logiche di fondo della libertà costruisce un tale intrico di problemi che, in tempi anche rapidi, porta alla distruzione lo stesso ordine sociale. Tutto ciò è molto chiaro quando si considera, ad esempio, uno degli effetti principali dell’intervento pubblico: il parassitismo organizzato. Mentre in una società liberale ognuno trae di che vivere dai beni e dai servizi che mette a disposizione del prossimo, in una società statizzata è anche possibile avere redditi che superino il milione di euro accumulando incarichi alla guida di enti pubblici: come è successo, appunto, in Italia.
In tal senso, la strategia parassitaria è una strategia – sul piano individuale – assai vincente. Ma che succede al corpo sociale in tale situazione? Fatalmente esso declina. In natura come in società, il moltiplicarsi dei parassiti porta alla morte il soggetto parassitato: l’albero perde le foglie e i produttori smettono di lavorare. Quando ci si ribella alla natura e alle sue regole elementari, prima o poi il conto si paga ed è salato. Questo deve indulgere a un qualche ottimismo. Può darsi che la ragionevolezza si manifesti solo quando tutto sarà distrutto e lo statalismo avrà trasformato l’Europa in una specie di deserto sociale ed economico. Oppure è possibile che – anche sulla scorta di qualche eccezione virtuosa – ci si renda conto che è bene tornare alle sane leggi del mercato. Una cosa però è chiara: la libertà può essere calpestata, ma non senza che questo produca conseguenze molto negative. Per tale ragione chi crede nella responsabilità individuale, nella proprietà privata e nel contatto deve nutrire una qualche fiducia nel fatto che, prima o poi, questi valori saranno riconosciuti anche da quanti oggi li disprezzano. Prima o poi, il futuro sarà liberale. C’è un limite oltre il quale non si può andare: e questo perché lo statalismo finisce per dissolvere la società stessa e obbliga, quindi, a prendere atto delle leggi fondamentali che regolano l’interazione sociale.