4° seminario
Il liberalismo e il problema dei beni pubblici
prof. Nicola Iannello - LUMSA di Roma
4 febbraio 2011 - Università Magna Graecia di Catanzaro
 
 
 
Il pensiero liberale si confronta con la questione dei beni pubblici fin dalle sue origini. In effetti, la riflessione sulla legittimità potere politico e le sue limitazioni coincide con l’individuazione di quelle funzioni che l’autorità pubblica può compiere per garantire la sopravvivenza delle società organizzate. Compiti necessari dello Stato sono sempre stati considerati la difesa dei confini esterni, la protezione dei cittadini, il mantenimento dell’ordine interno, l’amministrazione della giustizia, sia penale sotto forma di punizione dei colpevoli di reati e risarcimento delle vittime, sia civile come risoluzione delle controversie. A questi compiti altri e numerosi se ne sono aggiunti negli anni, tanto che ai nostri giorni viviamo in paesi in cui lo Stato fornisce servizi come l’istruzione, la sanità, la previdenza sociale, per non parlare di tutti gli interventi pubblici nel campo più direttamente economico. In effetti, la scienza economica ha elaborato la categoria dei “fallimenti del mercato” per giustificare la propria crescente presenza nella vita economica. In questa categoria, assieme ai beni pubblici si collocano anche le esternalità e i monopoli. In pratica, le principali scuole economiche sostengono che là dove il mercato fallisce, ovvero non riesce a fornire in modo efficiente beni e servizi, debba agire come suo sostituto la “mano visibile” dello Stato. L’economista che ha elaborato in modo più compiuto la teoria dei beni pubblici è Paul Samuelson (1915-2009), che ha forgiato i concetti di non escludibilità e non rivalità. Il liberalismo si pone di fronte a questo problema con atteggiamenti differenti. Molti liberali accettano la teoria dei fallimenti del mercato, ammettendo che il potere politico debba fornire quei servizi che l’iniziativa privata non è in grado di assicurare. È il caso di Friedrich von Hayek (1899-1992), il quale ammette l’esistenza di beni collettivi, avendo cura però di sottolineare come il fatto che la produzione di questi beni vada finanziata con la fiscalità non significhi che l’erogazione debba avvenire da parte dello Stato stesso. Esiste però anche una frangia estrema di pensatori liberali i quali sostengono che il mercato non fallisce mai: secondo i libertari e gli anarcocapitalisti, come Murray N. Rothbard (1926-1995), non esistono bene e servizi che non possano essere prodotti dall’iniziativa privata secondo la legge della domanda e dell’offerta. In quest’ottica, non si danno beni pubblici, in quanto se un bene o un servizio è desiderato da qualcuno disposto a pagare per averlo, ovvero se esiste una domanda, ci sarà anche chi è incentivato a produrlo, ovvero si determina un’offerta. La tradizione liberale vive di questa feconda discussione su quali siano gli spazi rispettivi del mercato e dello Stato nella produzione di beni e servizi per i cittadini. .
 
Il prof. Nicola Iannello insegna Sociologia economica alla Lumsa di Roma. Tiene inoltre un corso dedicato alla Scuola Austriaca di economia alla Università Europea di Roma. La sua tesi di dottorato è stata pubblicata in volume col titolo L’ordine degli uomini. Antropologia e politica nel pensiero di Thomas Hobbes e di Jean-Jacques Rousseau (Istituti Editoriali e Poligrafici Internazionali, 1998). È autore di numerosi saggi sul pensiero liberale e libertario. Ha tradotto opere di Frédéric Bastiat, Ayn Rand e Murray N. Rothbard. Con Lorenzo Infantino ha curato il volume Ludwig von Mises: le scienze sociali nella Grande Vienna (Rubbettino, 2004)