1° seminario - lectio magistralis Liberalismo, cooperazione e potere prof. Lorenzo Infantino - Luiss "Guido Carli" - Roma 31 gennaio 2014 - Camera di Commercio di Catanzaro
Per comprendere che cosa sia il liberalismo, è necessario capire che cosa sono le scienze sociali. L’uno e le altre sono nati infatti dallo stesso processo, che ha portato gli uomini ad affrancarsi dal mito del Grande Legislatore, dalla credenza che i fenomeni sociali siano il prodotto intenzionale della volontà di uomini di natura eccezionale, capaci di modellare le istituzioni in forza della loro straordinaria conoscenza, sovente garantita dal collegamento privilegiato con le forze cosmiche.
Mandeville e gli illuministi scozzesi (in particolare, Hume e Smith) sono stati dei pionieri, esponenti di quello “scientific Whiggism” che 1) ha abbattuto il mito del Grande Legislatore, 2) ha spiegato che quel che accade nella società è il prodotto di estesi processi, 3) ha mostrato quanto ricchi tali processi possano essere rispetto alla misera presunzione dei singoli.
L’abbattimento del Mito del Grande Legislatore è avvenuto tramite l’attacco a due punti nevralgici di quel vecchio mito. Per Mandeville, Hume e Smith, non esiste la scienza del Bene e del Male. Le norme etiche non sono una creazione della nostra ragione, ma sono il prodotto del processo di convivenza con gli altri. Il che è stato sostenuto con particolare energia da David Hume. E non solo. Con il suo teorema della “dispersione della conoscenza”, Smith ha negato che una qualche autorità possa centralizzare le infinite conoscenze di tempo e di luogo. Come dirà più tardi Burke, gli uomini sono “ignoranti e fallibili”. Non bisogna allora affidarsi alla presunta natura straordinaria del singolo, bensì al processo sociale. Per spiegare i fenomeni, occorre voltare le spalle alle “buone intenzioni” e individuare le condizioni che rendono possibile o impossibile un dato evento. Nascono così le scienze sociali. E sono il prodotto dell’abbattimento del mito del Grande Legislatore, della lotta cioè finalizzata alla limitazione del potere pubblico. Sì, perché il liberalismo è l’istituzionalizzazione della libertà individuale di scelta, conseguita tramite la limitazione e il controllo di quel potere.
Ne discende che, se l’inventariazione e la soluzione dei problemi della vita individuale e collettiva possono essere affidate all’azione dei governati o possono essere fatte proprie dai governanti, la teoria liberale imbocca la prima delle due strade. Crea quindi un esteso spazio per la cooperazione volontaria, a danno delle prescrizioni del potere pubblico. Cioè: viene limitata la sfera d’intervento dei pubblici poteri; e da ciò emerge un vasto territorio, su cui si rende possibile l’esercizio dell’autonomia decisionale dei cittadini. Il che, a ben vedere, è esattamente una conseguenza dell’abbattimento del mito del Grande Legislatore e del riconoscimento della nostra ignoranza e della nostra fallibilità. Nessuno di noi è una fonte privilegiata della conoscenza. È per tale ragione che siamo posti sullo stesso piano dinanzi alla legge. E possiamo esercitare la nostra libertà di scelta, che è poi un processo competitivo dal lato della domanda e dal lato dell’offerta. La competizione, che è un procedimento di esplorazione dell’ignoto e di correzione degli errori, è anche lo strumento attraverso cui tentiamo di minimizzare il potere dell’uomo sull’uomo. Occorre tuttavia chiarire che il liberalismo non vuole l’estinzione della presenza pubblica. Come Hayek ha precisato, «il liberalismo si distingue nettamente dall’anarchismo e riconosce che, se tutti devono essere quanto più liberi, la coercizione non può essere interamente eliminata, ma soltanto ridotta al minimo indispensabile, per impedire a chicchessia […] di esercitare una coercizione arbitraria a danno di altri». Il potere pubblico è pertanto insopprimibile. Deve però limitarsi a svolgere una funzione di servizio nei confronti della libera cooperazione sociale. «Né Locke, né Hume, né Smith, né Burke […] si sono mai posti a difesa di un completo laissez faire, che […] in senso letterale non è mai stato affermato da nessuno degli economisti classici inglesi. […] la loro posizione non è stata mai contraria allo Stato come tale, né incline all’anarchia, che è la conseguenza logica della dottrina razionalistica del laissez faire; […] ha preso in considerazione tanto le adeguate funzioni quanto i limiti dell’azione dello Stato».
Il prof. Lorenzo Infantino presidente della Fondazione Hayek Italia, è titolare della cattedra di Filosofia delle Scienze Sociali nella Facoltà di Economia della LUISS Guido Carli di Roma. È stato visiting Professor presso la Oxford University, la New York University, la Universidad Rey Juan Carlos di Madrid. È autore di opere tradotte in inglese, spagnolo, russo. Fra esse, si ricordano: L’ordine senza piano (Roma, 1995, 1998, 2008), Ignoranza e libertà (Soveria Mannelli, 1999), Individualismo, mercato e storia delle idee (Soveria Mannelli, 2008), Potere. La dimensione politica dell’azione umana (Soveria Mannelli, 2013). È considerato, a livello internazionale, uno dei maggiori conoscitori della Scuola austriaca di economia. Presso la casa editrice Rubbettino, dirige la collana “Biblioteca Austriaca”, dove sono raccolte le maggiori opere di Carl Menger, Ludwig von Mises, Friedrich A. von Hayek.