9° seminario - Tavola rotonda Stato e mercato in Italia, tra ancién regime e globalizzazione prof. Tullio Barni - prof. Rocco Reina - prof. Andrea PorcielloUniversità degli Studi "Magna Graecia" di Catanzaromodera avv. Sandro Scoppa, presidente Fondazione Vincenzo Scoppa 1 aprile 2016 - Camera di Commercio di Catanzaro
Il tema della tavola rotonda prenderà le mosse da uno dei fenomeni più significativi del nostro tempo in Italia, che è rappresentato dalla crescita accelerata e rilevante delle funzioni dello Stato. Tale processo di espansione, che appare al momento inarrestabile, è stato favorito dall’azione di ideologiche ostili al mercato e alla cooperazione sociale volontaria, a cui l’affermazione in campo economico delle teorie keynesiane ha dato un rilevante e rinnovato sostegno. Il loro sviluppo ha anche portato all’esorbitante ammontare del debito pubblico e alla c.d. “democrazia in deficit”, la quale ha determinato una grave alterazione del meccanismo di allocazione delle risorse. Si sono destinati mezzi a iniziative inefficienti e sottratti mezzi a iniziative efficienti. Il che ha prodotto e produce una distruzione di risorse e una caduta della produttività. Il professor Sergio Ricossa, del quale è doveroso ricordare la recente scomparsa, ha per lunghi anni messo in guardia contro tale deriva. Ma egli è rimasto inascoltato. A tale situazione occorre porre rimedio. Il potere pubblico deve essere limitato; il che non equivale a farne a meno. Come Mises ha rilevato, «quel che caratterizza il punto di vista liberale è l’atteggiamento nei confronti della proprietà privata e non l’avversione per la “persona” dello Stato»; mentre Hayek ha aggiunto: «Il liberalismo si distingue nettamente dall’anarchismo e riconosce che, se tutti devono essere quanto più liberi, la coercizione non può essere interamente eliminata, ma soltanto ridotta al minimo indispensabile, per impedire a chicchessia […] di esercitare una coercizione arbitraria a danno di altri». Il potere pubblico è pertanto insopprimibile. Tuttavia lo stesso non può assumere le dimensioni dello Stato massimo, né sostituirsi ai consociati in quello che essi possono fare autonomamente, ma deve limitarsi a svolgere una funzione di servizio nei confronti della libera cooperazione sociale volontaria. Ossia: al potere pubblico deve essere demandata la “produzione di sicurezza”, ma i bisogni devono essere soddisfatti tramite la libera cooperazione sociale. Essa è legata all’allargamento del nostro orizzonte.
Adam Smith, colui che in maniera più profonda e diffusa ha penetrato il meccanismo della cooperazione sociale, ha affermato: «L’uomo ha continuamente bisogno della cooperazione e dell’assistenza di un gran numero di persone, mentre la durata di tutta la sua vita gli basta appena a guadagnarsi l’amicizia di pochi». Pertanto, più si allarga l’orizzonte e meglio possiamo essere serviti. Il che ci è stato esplicitamente insegnato dal liberalismo, la teoria che ha gettando una potentissima luce sul meccanismo dello scambio e che ha posto dinanzi agli occhi di tutti i vantaggi che derivano dalla più vasta estensione della cooperazione sociale volontaria. Il liberalismo è la teoria della globalizzazione. Tutti cogliamo a piene mani i benefici della società liberale. Ma molti rifiutano in maniera preconcetta gli insegnamenti del liberalismo. Disprezzano la società aperta. Vivono così una grave forma di “dissociazione” che li porta ad agire in un modo e a dichiarare l’esatto opposto. Se tuttavia l’obiettivo di ciascuno è quello di migliorare il proprio benessere, non c’è nulla che possa sostituire il meccanismo di mercato. Estendere sempre più la cooperazione sociale volontaria significa allargare enormemente il numero di coloro alla cui esistenza possiamo contribuire e che, per tale ragione, devono in contropartita fornirci ciò di cui abbiamo bisogno. Gli scambi si intensificano, la produttività e il prodotto aumentano, crescono le nostre possibilità di scelta, l’orizzonte della vita diviene più ricco e stimolante. Come ancora Smith scriveva, l’attore non è più «necessariamente cittadino di alcun particolare paese. Il luogo in cui svolgere la sua attività gli è abbastanza indifferente; e, con poca contrarietà, sposterà il suo capitale e, con questo, tutta l’attività che esso sostiene da un paese all’altro». Certo, la globalizzazione è un serrato processo concorrenziale. Ma possiamo sottrarci a ciò? Ci sono barriere che possano farci vivere in una “nicchia ecologica protetta”? Le risposte non possono che essere negative. Nel corso del Novecento, il totalitarismo ha tentato di sradicare la cooperazione sociale volontaria e di rinchiudere gli uomini nella sua “gabbia d’acciaio”. Si è pensato di sostituire i “mercanti” con gli “eroi”. Si è addirittura giunti a promettere la cancellazione della condizione di scarsità, l’edificazione di un paradiso in terra. Ma non c’è parola che possa descrivere la barbarie prodotta. La violenza e la coercizione reprimono i tratti più umani di ciascuno di noi. Diritto, civiltà e benessere vanno di pari passo. Dobbiamo allora riconoscere che il processo di globalizzazione è un duro dato della realtà. E dobbiamo conseguentemente essere consapevoli che alla realtà non si può sfuggire.